Intolleranze alimentari: è tutto vero?
Oggi le intolleranze alimentari sono sempre più diffuse. Un’epidemia, potremmo dire. Ma cosa c’è dietro? Siamo sicuri di essere tutti intolleranti?
Le intolleranze alimentari, insieme alle più temibili allergie, appartengono alla grande categoria delle ipersensibilità alimentari, ossia reazioni avverse a particolari alimenti. Attualmente non esistono cure, e per gestirne i sintomi è fondamentale evitare gli alimenti che provocano la comparsa dei sintomi.
La presenza di ipersensibilità alimentari ha un’influenza negativa sulla qualità di vita di chi ne soffre, ma anche delle persone che vivono a stretto contatto con loro: si associa infatti a stress, ansia e sintomi depressivi.
Perché le intolleranze alimentari sono sempre più diffuse?
Negli ultimi anni, la risonanza mediatica di reazioni fatali dovute all’assunzione di cibo in soggetti allergici ed i cambiamenti nelle leggi riguardanti l’etichettatura dei prodotti alimentari, oltre che il fiorire di test pseudo-scientifici per i quali mancano evidenze scientifiche di attendibilità (come ad esempio il dria test, l’analisi del capello, il vega test ecc.), hanno generato una sempre crescente attenzione nei confronti delle ipersensibilità alimentari.
In questo contesto, il numero di persone che riportano di avere un’intolleranza o un’allergia alimentare continua ad aumentare in maniera esponenziale. Tuttavia, diverse ricerche hanno dimostrato come in realtà ci sia una discrepanza notevole tra il numero di ipersensibilità auto-diagnosticate, o diagnosticate tramite test non validi, e le diagnosi confermate clinicamente.
Una piccola porzione di questa discrepanza è certamente legata alla carenza dei servizi diagnostica ed alla disinformazione, ma il resto?
Intolleranze alimentari o questione di coincidenze?
Sintomi simili a quelli delle ipersensibilità alimentari possono comparire in seguito ad intossicazioni alimentari o infezioni batteriche o virali.
Quando i sintomi compaiono dopo aver mangiato, è facile essere indotti a pensare, erroneamente, che sia stato proprio il cibo appena consumato a provocare i sintomi, nonostante in precedenza non abbia mai creato alcun problema.
Si comincia così ad evitare l’alimento incriminato e, per via della successiva non-comparsa dei sintomi e della riluttanza a provare a consumare nuovamente l’alimento per verificare l’eventuale ricomparsa dei sintomi, si rinforza l’idea che sia stato proprio quel cibo a provocare i sintomi.
Questa convinzione può poi portare anche alla cosiddetta avversione al sapore: la sola vista o il solo odore dell’alimento possono indurre nausea e vomito. Fenomeno facilmente spiegabile dall’effetto nocebo, per cui, per il semplice fatto di essere convinti che un determinato alimento potrebbe produrre sintomi, i sintomi compaiono a seguito dell’assunzione di quello specifico alimento. Questo, chiaramente, non fa altro che confermare la convinzione che quel cibo sia a tutti gli effetti la causa dei sintomi.
E se anziché delle intolleranze alimentari fosse colpa dello stress?
Le nostre emozioni, così come lo stress, hanno un impatto sul nostro organismo. A chi non è mai capitato di avere mal di pancia prima di un esame o di un appuntamento importante, o di sentirsi gonfio e spossato durante periodi di lavoro particolarmente intensi?
Queste sensazioni fisiche sono del tutto normali, ma alcune persone sembrano essere più predisposte di altre a mal interpretarle, leggendole come reazioni avverse al cibo recentemente consumato. In particolare, le persone ansiose sono molto più vigili e molto più sensibili nei confronti di queste reazioni fisiche, e lamentano di conseguenza un numero maggiore di sintomi e più preoccupazione riguardo ad essi.
Spesso, però, a causa dello stigma associato alle reazioni psicosomatiche (ossia a tutti quei sintomi che hanno una spiegazione psicologica anziché medica o biologica), le persone sono restie ad accettare l’associazione tra ansia, stress e sintomi. Incolpare il cibo risulta quindi essere la strategia più semplice.
Intolleranze alimentari: Errori di valutazione
In definitiva, in un contesto sociale ogni giorno sempre più attento e sensibile alle tematiche legate alle ipersensibilità alimentari, la crescente disponibilità di informazioni a riguardo ha determinato un aumento della percezione del rischio di poter sviluppare un’ipersensibilità alimentare (“euristica della disponibilità”).
In altre parole, le persone sovrastimano la probabilità di soffrire di ipersensibilità alimentari, e sempre quindi sempre più portate a ricercare nel cibo che consumano la causa dei propri sintomi, auto-diagnosticandosi intolleranze o allergie alimentari, oppure affidandosi ingenuamente a metodi diagnostici non riconosciuti dalla comunità scientifica.
Fonte:
Knibb, R. C. (2019). Why Do People Misdiagnose Themselves with Food Hypersensitivity? An Exploration of the Role of Biopsychosocial Factors. EMJ, 4(1), 30-37.